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Quando l’amore non conosce “la disabilità”

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Napoli – Per una famiglia l’adozione rappresenta un evento molto complesso che permette ad una coppia di accedere alla genitorialità mediante un processo affettivo e di “scelta”, perché diventare genitori adottivi significa “scegliere di diventare genitori” di un bambino biologicamente procreato da altri. Si tratta di una scelta difficile, che implica una grossa assunzione di responsabilità e di consapevolezza rispetto alle difficoltà che il percorso adottivo comporta: un percorso che coinvolge sia il bambino adottato sia la coppia adottante sia l’intero sistema parentale. Con l’adozione avviene l’incontro di due mancanze e di due storie caratterizzate da sofferenza: la storia di una famiglia a cui manca un bambino e la storia di un bambino a cui manca una famiglia. Nella maggior parte dei casi le richieste delle famiglie adottive sono moltissime, prima tra tutte quella di poter vere un bambino neonato che almeno apparentemente non abbia già una “storia” alle spalle, seconda che sia comunque un bambino “sano”; va da sé considerare, quindi, che per i bambini con disabilità pochissime sono le vere chances di essere adottati e di trovare una famiglia che li ami e che sia disposta a prendersi cura di loro. Di solito la disabilità non si sceglie, anzi è difficile accettarla ma nel caso di Vincenzo e Silvia Morra, una coppia di coniugi che vive ai Camaldoli, l’adozione oltre che una “scelta” è stata una “scelta d’amore”. Adottare Tamara una bambina ucraina di 12 anni, abbandonata dalla madre naturale subito dopo il parto perché affetta da ipossica ischemica prenatale del sistema nervoso centrale, non è cosa da poco. Tamara era stata destinata ad un orfanotrofio, ma a causa delle sue condizioni fisiche precarie, ha trascorso la maggior parte del suo tempo tra la culla e le cure mediche ospedaliere. Da un’intervista rilasciata per il Corriere Del mezzogiorno i coniugi Morra raccontano: «Abbiamo incontrato il giudice a Kiev ci sono state segnalate le schede anagrafiche di minori con indicazioni circa il sesso, l’età ed eventuali handicap. L’ultima scheda era proprio quella di Tamara. Noi potevamo scegliere di adottare un bambino non disabile. Pensavamo a tutte le volte che avevamo visto in tv dei bambini malati e sofferenti, alle famiglie distrutte e consumate dal dolore… eppure il pensiero di intraprendere una lotta al fianco della piccina non ci scoraggiava, anzi ci sentivamo spinti verso di lei. In ogni caso abbiamo deciso di andare in orfanotrofio anche solo per conoscerla». Quando Vincenzo e Silvia l’hanno vista è avvenuto un miracolo: la piccola ha sorriso e con un timido gesto si è avvicinata al seno di Silvia, è bastato uno sguardo tra marito e moglie per dire: «Questa bambina è nostra figlia!». A Napoli c’ è stata anche la diagnosi definitiva: «Leucomalacia periventricolare con ritardo nello sviluppo psico-motorio». Ora Tamara frequenta la classe quinta della scuola primaria è non vedente, ha problemi nel deglutire, vive su una sedia a rotelle ma le piace moltissimo ascoltare la musica, in particolare Fedez e J-Ax, anche se la sua grande passione è Papa Francesco. Grazie all’Anef (Accà niscuno è fesso), un’associazione onlus che offre terapie domiciliari gratuite a bambini. Come diceva Jean Rostand,biologo, filosofo e aforista francese: “Tutta la diversità umana è il prodotto della varietà quasi infinita delle combinazioni di geni. Noi tutti siamo formati della stessa polvere cromosomica, nessuno di noi ne possiede un solo granello che possa rivendicare come suo. È il nostro insieme che ci appartiene e ci fa nostri: noi siamo un mosaico originale di elementi banali”. Per renderlo davvero bello ce vorrebbero molte di queste azioni perché il donare e il donarsi agli altri è la cosa migliore che si possa fare per rendere migliore questa società.

di Giuseppe Musto

 

 

 

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