RECENSIONE — Dopo trentasei anni di gloria, “Beetlejuice Beetlejuice” è tornato al cinema decisamente a testa alta. Un sequel che non campa di rendita, ma soddisfa le aspettative. Non è un prodotto per soli nostalgici, ma un film dotato di una propria dignità. Dopo la prima visione alcuni aspetti saltano subito all’occhio. Ad esempio si percepisce in maniera lampante che son trascorsi trentasei anni dal primo film. Non solo perché gli attori, chi più e chi meno, sono invecchiati. E nemmeno per la qualità più aggiornata dei nuovi effetti speciali. Innanzitutto si avvertono i trentasei anni di distanza perché il film del 1988 era il secondo lungometraggio di un giovane Tim Burton all’inizio della sua carriera. “Beetlejuice Beetlejuice” del 2024, invece, è il film realizzato da un regista che sa perfettamente di essere un maestro di cinema: di essere “Tim Burton il colosso”.
Non a caso guardi oggi il film del 1988 e in ogni scena o sequenza intravedi spunti e anticipazioni circa tutto quello che nella sua carriera Tim Burton ha poi realizzato successivamente. Al contrario guardi il film del 2024 e cogli ormai soprattutto gli omaggi di Burton al proprio passato cinematografico. Ad esempio è difficile nel presente osservare il personaggio di Barbara dell’88, in abito bianco, decomporsi con il marito accanto e non pensare all’estetica de “La sposa cadavere” che Burton avrebbe realizzato, in stop-motion, nel 2005. Oppure ammirare la bellezza del personaggio interpretato da Monica Bellucci nel 2024 e negare la somiglianza di stile con Morticia Addams. In termini di citazionismo i due film corrono in direzioni opposte. Il primo guardava in avanti; il secondo si volta soprattutto indietro.
Aggiungiamo una riflessione bonus: i trentasei anni si percepiscono anche e soprattutto per l’influenza del vissuto personale. Tim Burton nel 1988 non era ancora padre. “Beetlejuice – Spiritello porcello” ha una prospettiva più adolescenziale quando si parla del rapporto genitore-figli. A tratti più superficiale: non nell’accezione di frivolo, ma semplicemente meno profondo. Lo sguardo della regia sembra coincidere con quello di Lydia Deetz (Winona Ryder). In un mix di generi, la storia del 1988 raccontava anche il senso di solitudine e inadeguatezza di una ragazzina dark.
Nel frattempo nel 2003 e nel 2007 Tim Burton ha avuto due figli dall’ex-moglie Helena Bonham Carter. Ergo il regista del 2024 è padre. Nel sequel è evidente che il punto di vista sia quello di una persona che è genitore e farebbe di tutto per i figli. Certo, in “Beetlejuice Beetlejuice” abbiamo una giovane Jenna Ortega (nuova attrice feticcio di Burton) che, nei panni di Astrid, regala delle piacevoli parentesi da teen-drama. Il suo personaggio sembra confezionato di proposito per soddisfare il pubblico della serie Netflix “Mercoledì”, di cui Burton è produttore e regista. Tuttavia è innegabile che lo spettatore viene ancora una volta invitato a guardare le cose con gli occhi del personaggio di Winona Ryder. Lydia Deetz è ormai cresciuta. È una donna, non più l’adolescente del 1988, e soprattutto è una madre. Nel 2024 una mamma disposta ad affrontare anche la morte per la figlia.
E poi vogliamo negare che negli ultimi trentasei anni siano notevolmente cambiati in toto la sensibilità della società e l’umorismo collettivo? Tanti sketches e molte battute della pellicola del 1988 sono impensabili da scrivere oggi. Lo stesso sottotitolo italiano mirava, al termine degli anni Ottanta, a ridicolizzare e a promuovere come divertente la natura pervertita del protagonista bio-esorcista. Ed effettivamente all’epoca il pubblico rideva dinnanzi a gesti o frasi oggi considerati scorretti. Qualcuno potrebbe gridare alla “dittatura del politicamente corretto”, ma la realtà è che negli ultimi vent’anni finalmente qualcosa è scattato nella mentalità collettiva. Guardare una donna baciata o palpata senza consenso non viene più considerata una cosa così divertente.
Siamo diventati tutti più pesanti? Si è perso il senso dell’umorismo? No, semplicemente nel 2024 si è capito che, se viene considerato accettabile ridere in una sala cinema mentre una donna subisce delle molestie da parte di “un fantasma mattacchione”, perché non dovrebbe essere considerata esilarante la stessa scena nella vita reale? Perché non ridere anche, magari in occasione di una normale festa, quando una qualsiasi ragazza potrebbe essere infastidita allo stesso modo da uno sconosciuto che “vuole solo scherzare un po’” allo stesso modo di Beetlejuice?
Bene, dopo trentasei anni, Tim Burton ha colto la sensibilità del tema. Ha compreso la potenza della rappresentazione cinematografica e del suo impatto sulla società oppure è stato costretto dalle “lobby woke” di Hollywood. Fatto sta in questo sequel il lato più vizioso di Beetlejuice è stato incredibilmente ridimensionato. Il bio-esorcista appare decisamente meno depravato rispetto al film del 1988, eppure la nuova opera non ha perso il suo sapore e soprattutto non la sua verve comica.
Il cast non è stato cambiato tranne per alcune eccezioni. Mancano Alex Baldwin e Geena Davis perché, in quanto fantasmi, Adam e Barbara Maitland avrebbero dovuto presentare lo stesso identico aspetto. Gli spiriti non invecchiano, ma gli attori sì: per questo è apparso agli sceneggiatori più logico escludere i due personaggi dal nuovo soggetto. Non compare nemmeno Jeffrey Jones perché, nei primi anni Duemila, l’attore ha avuto diversi problemi con la legge per reato di molestia sui minori e possesso di materiale pedopornografico. Tuttavia il genio di Tim Burton e il team dei suoi sceneggiatori sono riusciti, attraverso una serie di scelte creative, a conservare il personaggio di Charles Deetz senza ricorrere a un recast.
Michael Keaton si è rivelato incommensurabile nel riproporre il suo personaggio ancora in maniera impeccabile, come se non fosse trascorso un solo giorno dal primo film. Winona Ryder non è invecchiata di una ruga. È semplicemente diventata adulta, più matura. La resa della sua performance è degna della carriera artistica di successo che ha costruito negli anni. Catherine O’ Hara risuona altrettanto eccezionale nel suo personaggio, coerente nella forma. Abbiamo poi delle new-entry di valore: la già citata Jenna Ortega che non delude le aspettative del pubblico e soprattutto quelle del suo fandom personale.
C’è poi l’iconica Monica Bellucci il cui personaggio si rivela purtroppo un po’ grezzo, soltanto abbozzato. Fa quasi sorridere come l’incantevole Bellucci Nazionale venga inserita in produzioni internazionali anche senza che le venga richiesta effettivamente alcuna interpretazione particolare. Del resto si può dire lo stesso a proposito del cameo di Danny DeVito come inserviente. Fa invece sorridere — ma non troppo — nell’Oltretomba il Wolf Jackson di Willem Dafoe che veste con padronanza il ruolo comico.
Le musiche sono nuovamente curate dal grandioso Danny Elfman. Sullo sfondo scenografie, ambientazioni e atmosfere dark gotiche in pieno stile Tim Burton. Disseminati lungo il film diversi riferimenti al primo film, come le stesse opere della signora Deetz. La trama è costruita bene. Appare coesa e accattivante. Offre soluzioni a qualsiasi interrogativo. La narrazione ha un ritmo serrato che non annoia il pubblico. Le tecniche digitali più moderne si alternano a un uso sapiente di strategie più classiche. Tim Burton addirittura ci delizia di pochi minuti in stop-motion. In sostanza si può affermare, senza nessuna remora, che “Beetlejuice Beetlejuice” sia un degno sequel del suo precedessore. Un grandissimo ritorno alle origini. Indubbiamente un futuro film di culto quanto il primo lungometraggio del 1988.
Di Valentina Mazzella