Benvenuti al nuovo appuntamento della rubrica “𝑵𝒂𝒑𝒐𝒍𝒊: 𝑺𝒕𝒐𝒓𝒊𝒂, 𝒂𝒏𝒆𝒅𝒅𝒐𝒕𝒊 𝒆 𝒄𝒖𝒓𝒊𝒐𝒔𝒊𝒕𝒂”.
“La cucina napoletana risente, per ragioni di storia, di quella degli antichi greci, degli spagnuoli e dei francesi”: così scriveva, nel secolo scorso, lo storico napoletano Vittorio Gleijeses. In epoca di potere gastronomico francese, a Napoli, il termine “monzù” (traduzione dialettale napoletana della parola francese “monsieur”) indicava il capocuoco delle case aristocratiche di Napoli. Nel ‘700 i cuochi di Napoli hanno sempre aspirato all’importante appellativo di Monzù. Infatti il termine era sinonimo di merito e garanzia di maestria.
La posizione degli “chef” napoletani era degna di nota fin dagli Angioini. Tuttavia, con l’avvento nella capitale del re Ferdinando IV di Borbone e di sua moglie Maria Carolina d’Asburgo, la loro attività toccò vette inaspettate. Grazie infatti ai regnanti, nacque la grande cucina di tradizione napoletana.
La regina austriaca, non amando la cucina partenopea, invitò i suoi cuochi francesi a seguirla a Napoli. Dalla fusione delle due cucine, franco-napoletana, nacque una delle più grandi gastronomie del mondo. Tanti Monsù partenopei presero il nome delle famiglie che li assumevano alle loro dipendenze. Il nome del cuoco Aquilino Beneduce si trasformò in “Monzù ‘e Pignatelli”.
Intanto cresceva la loro fama e in tanti, dalle dimore dei nobili, passarono all’apertura di trattorie e ristoranti. Francesco Mastriani, nel suo romanzo del 1912 “Ciccio il pizzaiuolo” cita un Monzù: “aveva dato la incombenza Roncetiello di recarsi fino alla pizzeria di Monzù Testa”.
Nella metà del XX secolo il termine, già desueto, cadde definitivamente in disuso. Esistono ancora oggi, al centro di Napoli, alcuni ristoranti con la scritta “Monzù”.
Saluti cordiali,
Pino Spera