Nel cuore di un Maradona infuocato, la sfida tra Napoli e Cagliari è stata molto più di una semplice partita. È stata una dichiarazione d’amore al calcio, alla storia e alla città. Una coreografia imponente ha abbracciato lo stadio con l’immagine di due bambini in corsa: uno, vestito d’azzurro, strappa con astuzia lo Scudetto dalle mani di un coetaneo in nerazzurro. In alto, la scritta: “Abbiamo dipinto quest’annata… adesso manca solo la firma e l’opera d’arte è completata!”.
Una scena potente, evocativa. Per alcuni è solo un gioco tra bambini, ma in quella semplicità si cela la verità più pura del calcio: rincorrere un sogno, come solo i bambini sanno fare. Per altri, è un riferimento profondo alla figura di Gennarino Capuozzo, lo “scugnizzo” simbolo della rivolta partigiana che diede il via alle Quattro Giornate di Napoli. Quel bambino che, armato solo di coraggio, accese il fuoco della ribellione. Ieri, come allora, uno scugnizzo ha lanciato il segnale. E Napoli ha risposto. In massa, con passione, come un popolo che sa trasformare il dolore in forza e lo sport in poesia.
In quella tela che scende dagli spalti si fondono i colori dell’infanzia, dell’identità, del coraggio. È una Napoli che non dimentica chi è, e che sa ancora sognare con la leggerezza di un bambino e la forza di una storia millenaria.
Il calcio è un gioco, sì. Ma è anche appartenenza. È ritrovarsi parte di qualcosa di più grande, è camminare insieme verso un obiettivo. È quello che ieri si è respirato tra le curve, nei cori, negli occhi di chi era sugli spalti e di chi guardava da casa.
E proprio questo spirito si è riflesso anche fuori dal campo, con il bellissimo scambio di tweet tra Inter e Napoli, un segno di rispetto e maturità. Complimenti, incoraggiamenti, sportività: perché il calcio deve unire, sempre. Al di là della rivalità, al di là del risultato.
Perché alla fine, tra arte, bambini e partite, il vero Scudetto è di chi sa ancora emozionarsi.