David Foster Wallace e la saggezza analitica del suo saggio “Una cosa divertente che non farò mai più”

LETTERATURA – Reduce da una passeggiata sulla MSC World Europa, la prima nave della World Class, mi concedo di condividere uno sproloquio letterario. Ebbene, posi il piede su una splendida nave da crociera e subito una vocina interiore evoca i fantasmi di vecchie letture. Affiorano in mente le deliranti pagine del saggio “Una cosa divertente che non farò mai più” di David Foster Wallace. 

Ammiri un’imbarcazione dalle dimensioni titaniche: 22 ponti, 47 metri di larghezza, 2.626 cabine e oltre 40.000 mq di spazi comuni. Cammini all’interno. Attraversi intere aree allestite come un casinò, altri spazi che ricordano un centro commerciale. Un elegantissimo lampadario gigante pende sulle teste di tutti. A ogni passo pensi quanto in fondo il vecchio David avesse ragione.

“Una cosa divertente che non farò mai più” compendia dei saggi scritti da Wallace nel 1996 e pubblicati sulla rivista “Harper’s Magazine” con il titolo originale “Shipping Out”. Si trattò di un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi, commissionato all’autore dalla stessa redazione.

La raccolta si apre con una riflessione acuta filtrata dall’inconfondibile autoironia dello scrittore. Nonché con la necessità di mettere in discussione persino le proprie pratiche quotidiane. Wallace costruisce un’argomentazione che oscilla tra umorismo e serietà. Trasforma una semplice constatazione in un vero esperimento etico.

Cosa significa godersi una vacanza quando si potrebbe esaurirla o sprecarla? Il tono dei suoi ragionamenti è quello di una critica pungente alla società del benessere. Di fronte all’esperienza di una settimana di crociera extra-lusso, Wallace osserva e analizza ogni dettaglio pianificato e artificioso di questo tipo di vacanza improntata su un relax che ama ostentare apparenza e ricchezza economica.

Attività, divertimento, momenti ricreativi, uscite, sonno, soste, convivialità: tutto è organizzato e studiato alla perfezione con ritmi serrati. Non devono esserci spazi vuoti nell’agenda. Ogni possibile esigenza di ciascun passeggero deve essere soddisfatta in anticipo. Tutti vengono risucchiati da una collettività che un po’ finisce per annullare l’identità del singolo.

Uno sguardo canzonatorio e irriverente accompagna tutta la narrazione. Con sarcasmo Wallace si rende conto di come avere tanti comfort conduca a innalzare i propri standard. Una spietata satira sull’industria delle vacanze occidentali, sull’opulenza, l’esibizionismo e l’avidità dei clienti che desiderano sempre di più e sempre il meglio per sentirsi migliori.

Con piglio ironico, Wallace descrive anche l’ipocrisia del personale di bordo: dipendenti sempre pronti a servire e a coccolare i passeggeri unicamente per lavoro e denaro. Con il sorriso perenne e i modi garbati imposti dall’esigenza di uno stipendio e dalla paura del licenziamento. Una riflessione per moltissimi aspetti inconcludente, ma affascinante nel descrivere la complessità dell’essere umano.

Di Valentina Mazzella

 

 

 

 

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