ATTUALITÀ – Finalmente qualcuno non le manda a dire. Da due giorni il web sta apprezzando follemente la reazione e la rabbia del comico Enzo Iacchetti nel prendere posizioni in difesa di Gaza in una discussione animata. Ha espresso quello che milioni di persone pensano. Senza peli sulla lingua. Probabilmente perché non è un politico e non ha bisogno di raccogliere consensi, di stare con un piede in più scarpe.
Ricapitoliamo. Durante la puntata del 16 settembre della trasmissione “È sempre Cartabianca” su Rete 4, il dibattito sulla crisi nella Striscia di Gaza è degenerato in uno scontro acceso tra Enzo Iacchetti ed Eyal Mizrahi, presidente della Federazione “Amici di Israele”. Sullo sfondo, le testimonianze, le cifre, la sofferenza. Da una parte Iacchetti che denuncia migliaia di vittime civili: circa 70.000, di cui 20.000 bambini. Dall’altra Mizrahi che contesta i numeri, parlando di circa 50.000 vittime totali, metà delle quali “terroristi”.
Segue una vera escalation di collera. La furia si scatena quando Mizrahi pone la richiesta “Definisca bambino” mentre Iacchetti parla delle vittime palestinesi. Due parole. Soltanto due parole, ma con l’intento potentissimo di insinuare che la definizione stessa di “bambino” sia discutibile nel contesto dei decessi citati. La provocazione innesca l’ira di Iacchetti che reagisce d’impeto con parole dure. Viene chiamato ingiustamente “fascista”. Reagisce di impulso con la frase: “Cosa hai detto, stron**? Vengo giù e ti prendo a pugni!”.
La provocazione di Mizrahi si rivela vergognosa e ignobile. La sua richiesta insopportabile sotto il profilo morale. L’episodio getta luce sul peso che assumono le definizioni in dibattiti pubblici mentre lontano sono in gioco vite innocenti. “Bambino” non è solo una categoria biologica o legale, ma un perno etico. Negare implicitamente che le vittime siano “bambini” significa minare la dignità delle persone colpite dalla guerra. E questo è gravissimo. Inammissibile.
Molti commentatori, come Francesca Albanese, relatrice ONU, hanno osservato che la frase “Definisci bambino” svela una deriva nel modo in cui oggi si fa contraddittorio mediatico. Lo stesso dolore umano diventa terreno controverso. Al di là delle posizioni politiche, la vicenda interpella il pubblico su un tema cruciale: quanto siano importanti i termini con cui si racconta la guerra. Dietro ogni “bambino” ucciso c’è una storia, un volto, una perdita che non dovrebbe essere disumanizzata per far quadrare una narrazione. E forse, in momenti come questo, la dignità del linguaggio vale quanto quella della vita.
Di Valentina Mazzella

