ATTUALITÀ – Lunedì 22 settembre si è tenuto lo sciopero generale nazionale in solidarietà al genocidio che si sta verificando sotto gli occhi di tutti nella Striscia di Gaza. La mobilitazione è stata promossa da collettivi studenteschi, sindacati di base, diverse realtà politiche, sociali e associazioni solidali. L’obiettivo è stato invocare l’immediato cessate il fuoco contro il popolo palestinese. Lo sciopero ha riguardato scuole, università, trasporti, logistica, servizi pubblici e privati. Manifestazione e cortei si sono svolti in decine di città italiane tra cui Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino, Firenze e Palermo.
Il giorno seguente la maggior parte delle testate ha documentato l’accaduto descrivendo i danni creati da coloro che hanno preso parte alla protesta. Ennesimo episodio che dimostra come di un fatto accaduto conti soprattutto la narrazione che ne viene fatta. Quale linguaggio usi? Sulla base delle parole scelte e degli aspetti su cui preferisci accendere il focus è possibile manipolare la realtà e promuoverne un’interpretazione piuttosto che un’altra. Nulla di particolarmente diverso da quello che in fondo succede anche nel nostro piccolo. Ad esempio nella quotidianità di ciascuno quando, a proposito di una qualsiasi lite, ogni campana tira acqua al suo mulino.
È forse nell’indole dell’essere umano, ma ci si vuole davvero arrendere a questa condizione? Non si vuol più ricercare un po’ di verità in nome della coscienza e dell’integrità morale? E a proposito di questi valori, discutiamo anche della consapevolezza e dell’onestà nell’ammettere come funzioni la storia dei popoli da quando il mondo è il mondo. Una buona fetta dell’opinione pubblica ha, infatti, accusato lo sciopero del 22 settembre di essere “una manifestazione inutile”.
Commento classico: “E adesso cosa avete cambiato?” Beh… queste persone dimenticano che, aprendo un qualsiasi volume di storia, si apprenda che i diritti sono sempre stati conquistati dai popoli con le proteste, non sempre del tutto pacifiche. Dai diritti delle donne per cui hanno lottato le suffragette, tra il XIX e l’inizio del XX secolo, al movimento operaio per ottenere lo Statuto dei Lavoratori e le 8 ore al giorno. Dal Movimento per i Diritti Civili di cui Martin Luter King fu leader alle battaglie per la Repubblica contro la monarchia in diversi Paesi. Semplici esempi noti a tutti.
Oggi ci si dissocia naturalmente da qualsiasi azione violenta, ma resta tuttavia innegabile che lo scopo di uno sciopero di per sé sia esattamente quello di creare disagi a chi non presta ascolto. L’obiettivo è quello di colpire la routine della società e soprattutto gli ingranaggi dell’economia e della politica affinché finalmente ai vertici non possano più voltarsi dall’altra parte. Per chiedere al governo tricolore di smettere di sostenere la sopraffazione sui deboli. Per chiedere di cambiare rotta e scegliere da quale parte della storia vogliamo stare. Se non attraverso iniziative e manifestazioni, come? Come farsi prendere in considerazione?
Perché forse – e scrivo sarcasticamente “forse” – più grave di qualche vetrina rotta non solo c’è un massacro in corso. Forse – con il medesimo tono – c’è anche un Presidente del Consiglio, una figura istituzionale, che a New York al tavolo dell’ONU nega il riconoscimento di uno Stato (quello della Palestina) adducendo che “il riconoscimento della Palestina in assenza di uno Stato che abbia i requisiti della sovranità” non risolverebbe il problema.
Tutto ciò dichiarato seraficamente senza che il Parlamento italiano sia stato consultato, mentre il popolo italiano rivendica la sua di sovranità, secondo quanto sancito dalla nostra Costituzione. A quanto pare il problema di fondo non è soltanto Gaza. Alla luce di tutto ciò, sono queste le ragioni per cui lo sciopero ha valore: per alzare la voce ed essere finalmente ascoltati.
Di Valentina Mazzella

