Per Gaza: Pomigliano d’Arco in corteo contro la corsa alle armi

Foto di Valentina Mazzella.

POMIGLIANO D’ARCO – Ieri pomeriggio per le strade di Pomigliano d’Arco ha sfilato il corteo  “Insieme per Gaza – Un cammino di pace. Una voce di giustizia”. Un fiume di gente che crede ancora in un domani diverso. L’iniziativa è stata promossa e coordinata da Maria Carmela Polisi della locale libreria indipendente e antifascista “Mio nonno è Michelangelo”.

Hanno partecipato migliaia di cittadini, realtà del territorio quali “Libera” (un’associazione nazionale di contrasto alla criminalità organizzata), esponenti della CGIL, l’Azione Cattolica della Diocesi di Nola, studenti, insegnanti, rappresentanti di alcuni gruppi politici (PER, Rinascita, Luigi De Magistris), genitori, bambini, lavoratori di molteplici settori. Del corteo non si vedevano l’inizio e la fine. Le persone erano lì tutte insieme per chiedere all’unanimità il cessate il fuoco presso la Striscia di Gaza.

I messaggi lanciati sono stati chiari. È inutile che si continui a parlare di presunto “Occidente cristiano” se poi lasciamo morire un popolo vittima di un genocidio: di “cristiano” non abbiamo più nulla. Non è una questione di retorica: è una questione morale. Possiamo continuare a nominare “la difesa della democrazia occidentale”, ma se restiamo indifferenti davanti a un massacro in corso stiamo perdendo, pezzo dopo pezzo, i principi sui cui millantiamo di aver costruito la nostra civiltà.

Politicamente viviamo un’epoca contrassegnata da una profonda ipocrisia dei conti pubblici. I vertici ci ripetono che non ci sono soldi per la sanità, per i servizi pubblici, per i servizi sociali, per gli stipendi, per la scuola, per l’università. Nei telegiornali vediamo studenti manganellati quando provano a essere ascoltati. Abbiamo tutti esperienza di ospedali sottofinanziati. I tagli sui servizi essenziali sono continui.

Foto di Valentina Mazzella.

Eppure, quando si discute invece di guerra, quei soldi — miracolosamente — spuntano. In Italia siamo tormentati da uno Stato che mette le vere priorità da parte. Toglie le risorse alle persone comuni e finanzia chi arma i massacri. Tutti i valori della democrazia sono stati traditi: la salvaguardia della vita, la tutela dei più deboli, il rifiuto della sopraffazione. Non contano i cittadini, ma il profitto e la potenza militare.

Il corteo ha denunciato la conversione di parte delle nostre industrie verso la produzione bellica. Accade anche nella stessa Pomigliano d’Arco con l’azienda Leonardo. L’Italia è tra le maggiori produttrici mondiali di armi e Israele è uno dei nostri migliori clienti. Si tratta vergognosamente di affari. La gente muore, ma si tratta di affari. Il dilemma etico non può più essere rimandato. È il momento della scelta: vogliamo davvero continuare a costruire mezzi di morte?

 

Molti lavoratori delle fabbriche belliche guardano con solidarietà il popolo palestinese. Non vogliono nemmeno loro avere le mani sporche di sangue. Non vogliono che il loro lavoro finanzi il dolore altrui. E allora un appello alle coscienze è un dovere. Servono scelte coraggiose per spezzare la catena che collega produzione, politica e violenza.

La vera potenza è economica. La voce che si è alzata dal corteo è stata chiara: se vogliamo fermare politiche e interessi che sostengono i massacri, dobbiamo colpire dove fanno male: nei profitti, nei contratti, nei portafogli. Svuotare le fabbriche, fermare il Paese con uno sciopero generale, togliere consenso alla logica della guerra per mettere la politica in ginocchio: è il messaggio ripetuto a più riprese.

 

Il Governo non può indirettamente o direttamente finanziare un genocidio senza il supporto — attivo o passivo — della classe dei lavoratori. Ecco perché la scelta dei lavoratori è decisiva: trasformare la protesta in pratica collettiva, interrompere le catene di produzione che alimentano le guerre significa prendere posizione in maniera concreta.

Alla luce di tutto ciò la bandiera palestinese sta assumendo oggi un nuovo valore simbolico più ampio. Non rappresenta solo la resistenza di un popolo, ma la lotta contro tutte le oppressioni imposte dai potenti e dalle classi dirigenti. Sventolarla in piazza non significa solo stare con Palestina: è dire no alla logica della sopraffazione ovunque si manifesti. Nel momento in cui dei bambini sono ridotti a bere l’acqua dalle fognature ogni discorso sul “nostro modello di civiltà” cade, diventa ipocrita. E le belle parole devono tradursi in gesti di solidarietà concreta contro quelle politiche che causano fame, paura e morte.

Articolo e video di Valentina Mazzella

 

 

 

 

 

 

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