ROMA – Cinquant’anni. Praticamente mezzo secolo dalla tragica notte del 2 novembre del 1975 in cui Pier Paolo Pasolini venne trovato senza vita sulla spiaggia di Ostia. Nel presente la sua figura resta una delle più complesse e vitali del Novecento italiano. Poeta, romanziere, regista, polemista. Un intellettuale scomodo capace di leggere con lucidità spietata le trasformazioni della società italiana.
Pasolini fu un testimone inquieto del suo tempo, un artista che non accettò mai compromessi. Attraverso le sue opere raccontò l’Italia marginale e contraddittoria. Denunciò la perdita di autenticità provocata dal consumismo e dall’omologazione culturale. Ricordiamo alcuni romanzi come “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” oppure film come “Accattone”, “Il Vangelo secondo Matteo” e “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.
La sua morte violenta resta ancora oggi avvolta da diverse zone d’ombra. Tuttavia sopravvive la potenza della sua parola: una voce che continua a sfidare, a provocare, a chiedere responsabilità e coscienza critica. Pasolini non appartiene al passato: è un contemporaneo. La sua eredità risuona ogni volta che la cultura, la politica o i media si confrontano con il potere e la verità. Cinquant’anni dopo il suo sguardo inquieto ci costringe ancora a pensare, a dubitare, a resistere.
Di Valentina Mazzella

