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Cosa “nobilita la persona” fra il lavoro, l’università e il reddito di cittadinanza?

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Con la presente riflessione non si ha tanto l’intenzione di impelagarsi in una delle solite polemiche a proposito del tanto discusso reddito di cittadinanza. Piuttosto si ha desiderio di evidenziare quanto in fondo esso rappresenti un po’ la punta di un iceberg, quello dei celeberrimi “problemi italiani”. Tutti conosceranno il proverbio cinese: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. Di norma lo si cita soprattutto in riferimento al genere di aiuto che sarebbe più opportuno offrire ai Paesi in via di sviluppo. E fin qui niente di discutibile. Eppure ci siamo mai soffermati a riflettere su quanto dovrebbe essere un modello di riferimento anche per noi? Si torna dunque al reddito di cittadinanza come soluzione per fronteggiare povertà e disoccupazione.

Al di là del discorso delle dinamiche prettamente economiche che riguardano la crisi italiana, lancio un quesito volutamente provocatorio: cosa “nobilita veramente la persona” fra il lavoro, l’università e il reddito di cittadinanza? Non esiste una risposta unica. Non si vuole assolutamente demonizzare chi farà domanda e magari otterrà il sussidio. Più semplicemente si vorrebbe spostare l’attenzione su alcuni aspetti socio-culturali. Fare qualche passo indietro e chiedere: cosa crea disoccupazione? Alla base vi è una concomitanza di fattori e non tutti legati al mercato, alla burocrazia, alla carenza di incentivi statali e quant’altro. Una fra le tante cause della disoccupazione in Italia è anche la forma mentis dell’Italiano medio che porta alla formazione di persone per un determinato settore lavorativo già in esubero. È il classico esempio delle migliaia di laureati in giurisprudenza che abbiamo senza che poi tutti riescano effettivamente a lavorare con profitto maneggiando il diritto. Il reddito di cittadinanza può ovviare a questo genere di problema? Con le sue proposte occupazionali può riportare un po’ di equilibrio fra offerta e domanda nel mondo del lavoro? Staremo a vedere.

Nel frattempo ci piace “filosofeggiare” e pensare che forse ciò che nobilita l’uomo sia seguire le proprie aspirazioni. Forse sarebbero più vantaggiose nuove riforme che per una volta la smettano di demolire l’istruzione, di abbassare l’asticella scolastica e di rendere le università dei parcheggi formato super-liceo. Forse la si dovrebbe smettere soprattutto con la pressione sociale del “pezzo di carta” che porta alcuni giovani studenti a gettarsi dagli edifici degli atenei per non essere all’altezza delle aspettative di familiari e conoscenti. Forse bisognerebbe farsi un’analisi di coscienza e alle volte purtroppo ammettere che il titolo non sia sempre garanzia di competenza, come dovrebbe avvenire in un mondo utopico. Forse, per quanto impopolare possa essere come pensiero, se si è ad esempio in possesso di una laurea in Farmacia e non si trova lavoro, non è davvero in ogni situazione “colpa del sistema”, “colpa dei raccomandati”, “colpa di questo Paese da cui è meglio scappare”. Forse hai conseguito gli esami per il rotto della cuffia ed è anche giusto che non lavori. Forse avresti dovuto fare altro nella vita e sei vittima di un problema italiano che non è unicamente la disoccupazione. È anche la sua cattiva abitudine di demonizzare gli istituti professionali e i lavori più pratici che portano ad affollare determinati settori più di altri. Perché la laurea in questa ottica non è più un traguardo raggiunto dopo un percorso di sacrifici che hanno portato all’ampliamento dei propri orizzonti. Resta appunto “il pezzo di carta” di cui parlavano i nonni. Qualcuno invoglia dicendo: “Pensaci, stringi i denti e poi dopo tre anni ti chiamano dottore”. Ti chiamano: la denuncia ingenua di quello che per molti è uno status symbol e basta. Si è perso tutto il discorso della vocazione che varia da individuo a individuo.

Ogni professione nobilita l’uomo ed è utile alla società. È necessario l’ingegnere che costruisca ponti che non crollino con un temporale quanto il panettiere che prepara un buon pane rispettando i tempi di cottura e le norme igienico-sanitarie dei forni previste dalla Legge. La felicità è relativa, ma gli Italiani se ne dimenticano. Ogni tanto risvegliamo le coscienze per due o tre giorni alla notizia di qualche suicidio. Poi si torna a torchiare la figlia che confessa di volersi iscrivere a un istituto artistico piuttosto che a un liceo classico. E allora ogni mattina domandiamoci: cosa nobilita davvero la persona? Il lavoro, l’università o il reddito di cittadinanza? Mi rendo conto che l’accostamento abbia il sapore di un volo pindarico. Ma la realtà è che laddove onestà e dignità restano intatte, allora l’uomo viene innalzato, ognuno secondo le proprie attitudini.

Di Valentina Mazzella

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