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Festival dell’Oriente: quando la sostanza occidentale si traveste di fascino esotico

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Foto di Francesco Palladino.

NAPOLI – Colori, sapori, sorprese, emozioni… Ci eravamo lasciati carichi di promesse ed aspettative la settimana scorsa. E pieni di fiducia domenica, dopo due anni, siamo ritornati al Festival dell’Oriente nella sua terza edizione partenopea con la curiosità e l’entusiasmo di constatare di persona cosa fosse cambiato e cosa si fosse perfezionato. Invece, sebbene sia spiacevole far sempre i polemici pretenziosi, abbiamo visto molto per cui scuotere la testa.

La fiera è diventata più grande e più ricca, vero. Purtroppo però, a quanto pare, più variegata non significa migliore. Grosso modo è diventata per alcuni aspetti, nell’area del Festival della Salute, una sorta di ricettacolo di religiosi delle filosofie orientali che vorrebbero adescarti, fattucchiere nuovo stile e rappresentanti della campagna di sensibilizzazione pro-bio e pro-vegano. Se due anni fa c’era la lezione di yoga nella sua versione laica, oggi si sonnecchia accendendo un bastoncino di incenso a un idolo induista, davanti la foto di una guru indiana o di un santone sorridente. E non ci sarebbe assolutamente nulla di male se nel frattempo non si indossassero magari un crocifisso al collo o un braccialetto di Padre Pio al polso.

Foto di Francesco Palladino.

A osservare tanto desiderio di sperimentare il nuovo che inciampa nell’ipocrisia sorge spontaneo un dilemma più grande di qualsiasi pancia di Buddha: come mai si abbia tanto interesse per religioni tanto distanti nella cultura e nello spazio e non per culti religiosi diversi, eppure più vicini a noi. Innumerevoli le persone che “giocano all’induismo o al buddhismo”, eppure sotto sotto sappiamo che non ci sarebbe lo stesso spirito di partecipazione se in una fiera fosse stata offerta l’opportunità di prendere parte a usi e pratiche religiose dei cattolici, dei Testimoni di Geova, delle varie professioni protestanti. Sorridete pure magari immaginando il deserto che regnerebbe in un contesto del genere, al di fuori dai fedeli aderenti, in uno spazio in cui si recitasse il Rosario al posto dello yoga o in cui si cantassero inni Gospel al posto del mantra per Hara Krishna. Perché? Semplice: l’esotico ha sempre il suo fascino. Eppure in questo modo si attiva tutto il meccanismo denunciato da Francesco Gabbani in “Occidentali’s Karma”. Tutto ciò che ha senso nel lontano Oriente, calato nella nostra società, perde il suo significato originale di genuinità. Allora ecco che si partecipa a una meditazione tibetana nell’apparenza, ridacchiando sotto i baffi nell’intimo. L’apparenza… Uno dei cardini del mondo occidentale assieme al consumismo. È in questo modo che il Festival dell’Oriente propone un’ombra del mondo asiatico con un’essenza tutta occidentale. Va bene non prendersi sempre troppo sul serio, ma resta ugualmente triste sciupare la dignità di antiche religioni per ridurla a un gioco che le banalizza. Forse sarebbero stati interessanti più incontri e confronti con esperti di antropologia, scienze religiose, sociologia e simili. Al contrario abbiamo visto salire sul palco sciamani e sedicenti dottoresse, sicuramente più suggestivi probabilmente. Almeno quanto le diverse cartomanti che per dieci euro leggono il futuro ai curiosi e ai preoccupati. Insomma, quanto basta per domandarsi se la gente la sera a cena guardi mai “StrisciaLaNotizia”, anche solo per sbaglio.

Foto di Francesco Palladino.

Sempre fra massaggi, lettini e amache, ci sono poi come già anticipato gli assaggi di cucina vegana. Il che sarebbe anche apprezzabile se si rivendicassero i diritti degli animali o una presunta superiorità di tale di dieta per la salute rispetto ad altre. Se non fosse che si rimane poi un tantino perplessi nell’ascoltare da alcuni che sarebbe il mangiare la carne, frutto di un assassino, a trasmettere aggressività all’anima e rendere l’uomo violento.

Capitolo a parte, tutte lamentele, dovrebbe invece essere riservato all’organizzazione non-sense del Festival del Colore. In breve due biglietti, stesso prezzo. Un ticket con su scritto semplicemente “Festival dell’Oriente” e un secondo con “Festival dell’Oriente – Holi Festival”. Il costo di entrambi è di dodici euro. All’interno della Mostra l’Holi Festival è un evento del Festival dell’Oriente accessibile a tutti, indipendentemente dal biglietto acquistato. Non si svolge in un’area delimitata per entrare nella quale bisogna mostrare il biglietto. Tuttavia, burla della gestione, ai detentori del biglietto con su scritto in più “Holi Festival” (spesso acquistato per pura casualità) vengono regalati i colori in polvere con cui sporcarsi. Agli altri comuni mortali tocca invece pagare cinque euro tre sacchetti per far quadrare i conti alla fiera e, in un certo senso, compensare il debito dei fortunati. Pertanto, se non avete ancora acquistato i biglietti per la domenica di questo week-end, state ben attenti alla scritta Holi Festival sul ticket (sul sito online non cliccate su “Acquista biglietto”, ma su “Holi Festival”). Occhio in ogni caso che i colori sono meno lavabili di quanto si lasci intendere. Per il resto l’anno prossimo, signori dell’organizzazione, se leggete: per favore, o tutti o nessuno, grazie.

Foto di Francesco Palladino.

Dopo aver sputato abbastanza veleno, chiudiamo questa recensione in serenità raccontando anche quello che di bello c’è. Innanzitutto un applauso tutto dedicato merita il Festival delle Arti Marziali per la serietà, la professionalità, l’impegno e la dedizione di chi vi opera. Gli insegnanti e gli allievi si esibiscono i dimostrazioni che non lasciano indifferenti. Sicuramente egregi gli spettacoli di intrattenimento fra danze e musiche orientali che diversi artisti ci hanno offerto sul palco, avvolti in favolosi e sgargianti abiti tradizionali. Nei padiglioni fan venire l’acquolina in bocca gli odori delle cucine etniche che propongono appetitosi menù a prezzi ragionevoli. Variegati nella merce gli stand commerciali e i bazar. Favolosa la possibilità offerta in alcuni punti alle ragazze di poter essere fotografate, dietro pagamento, in veste da geisha, con acconciatura e addosso un vero kimono da cinque chili! Impareggiabile la soddisfazione nell’esser vestite con le braccia aperte dalle mani esperte di un’anziana giapponese come si fosse in una vera cerimonia. Deliziosi i maestri che dipingono su carta da riso, pazienti gli esperti di bonsai, divertenti gli allestimenti di origami colorati e complicati. Poi tatuatori che usano la tecnica dell’henné, venditori di spezie o prodotti insoliti, la cura delle sopracciglia con il filo che dovrebbe essere la nuova chicca araba del mondo dell’estetica e ancora, ancora, ancora. Bella la riproduzione del giardino zen all’ingresso e gli allestimenti riciclati dalle precedenti edizioni, come quella dell’Esercito in terracotta. Ammirevoli anche i pannelli con le viste panoramiche, sebbene alla dicitura “viale giapponese” del sito ufficiale l’immagine può trarre in inganno e avevamo ingenuamente creduto corrispondesse a una zona allestita quasi come un set cinematografico e non banalmente a un corridoio con dei pannelli dipinti per pareti. Ma alla fine va bene anche così. Per la stessa ragione per cui nella fiera c’è “mezza giapponese” che mostra la cerimonia del tè e per cui la vecchina veste le ragazze da geisha senza sistemare in vita l’obi, la cintura del kimono col fioccone dietro per intenderci. Per non perdere tempo – in Giappone la vestizione del kimono è un vero e proprio rituale. Tanto in fondo ci accontentiamo di poco, della finzione nell’insieme, perché di fatto è proprio vero: siamo solo un branco di Occidentali.

Di Valentina Mazzella

 

Galleria foto di Francesco Palladino:

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