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La scuola dopo due anni di DAD: com’è cambiata e cosa abbiamo imparato

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Giorni fa si chiacchierava dopo aver adocchiato da lontano una classe della scuola primaria in gita. La conversazione aveva dei toni molto leggeri. Al che un amico ha commentato senza mezzi termini: “Dopo due anni di DAD, è già tanto se i bambini non saltano sui banchi come scimmie”. Una battuta di spirito un po’ arcigna che la racconta lunga su come la Didattica a Distanza sia stata percepita dagli italiani dal 2020 ad oggi. Di tanto in tanto è stata alternata a periodo più o meno lunghi di lezioni in presenza. Resta però innegabile che abbia cambiato la scuola di ogni grado con strascichi che saranno più o meno visibili ancora nei prossimi anni.

Naturalmente la premessa è indispensabile: di necessità si impara a far virtù! Durante i lockdown qualsiasi forma di assembramento era da evitare. La digitalizzazione della scuola è stata pertanto un’importantissima risorsa. Ha avuto inoltre il merito di accelerare l’integrazione della tecnologia come supporto per l’insegnamento. Probabilmente, senza un vero bisogno, il processo sarebbe stato estremamente più lento. Ciononostante sono anche tantissime le riflessioni che questi due anni di Didattica a Distanza hanno lasciato in eredità alla scuola italiana.

Non è possibile non denunciare gli ostacoli insormontabili che la DAD è stata spesso costretta ad affrontare, ahinoi, con sonoro insuccesso. Soprattutto nel mondo della scuola primaria, all’inizio un numero esorbitante di genitori si è ritrovato a prestare sostegno ai propri figli ancora troppo piccoli per aver elaborato un metodo di studio personale e idoneo. Sempre ammesso che i genitori avessero l’opportunità di essere vicini fisicamente ai pargoli e fossero dotati delle competenze minime indispensabili. Non poche infatti sono state le difficoltà delle famiglie in cui i genitori sono entrambi lavoratori. Poi finalmente almeno i più piccini sono tornati a scuola tra i banchi, dove potevano interfacciarsi di persona con la maestra.

La palla cocente però è restata ugualmente fra le mani degli studenti degli altri gradi. Nell’immaginario collettivo è stata costruita l’immagine un po’ comica dei ragazzi al mattino in pigiama davanti al computer, intenti a rispondere all’appello della prof senza nemmeno alzarsi dal letto. Routine che sicuramente alcuni avranno fatto propria, ma non si può generalizzare. Esattamente come sarà vero che molti studenti preferissero le interrogazioni e le verifiche in DAD perché magari era per loro più semplice scopiazzare e leggere i suggerimenti. Eppure altri alunni avranno studiato normalmente e, anzi, con maggiore sforzo. È corretto anche mostrare l’altra faccia della medaglia.

È giusto raccontare lo stress degli studenti delle scuole medie e superiori costretti ad avere gli occhi incollati su uno schermo per un numero interminabile di ore, nella solitudine della propria stanzetta. Raccontare le difficoltà dei docenti nel coinvolgere i ragazzi quando i cali di concentrazione erano infinitamente più frequenti che in una comune aula scolastica. Raccontare anche il sovraccarico di una scuola che, a causa della digitalizzazione, spesso ha perso i confini temporali delle abituali cinque ore mattutine. Parliamo di studenti costretti a essere sempre virtualmente connessi per ricevere nuovi compiti o nuove richieste anche nel tardo pomeriggio o nel dopocena.

Tutto ciò senza che la situazione sia mai stata ovviamente regolamentata in maniera adeguata e omogenea. Discorso a parte riguarda invece gli universitari che hanno vissuto un girone infernale a sé in cui erano dimenticati dal Governo e da qualsiasi forma di divinità esistente. Lo scorso anno la cronaca ha raccontato a sufficienza le contraddizioni nonsense che si sono verificate in alcuni atenei italiani. Pensiamo agli studenti a cui veniva chiesto di esibire il greenpass per sostenere gli esami da remoto, nell’isolamento della loro camera.

La pandemia e la Didattica a Distanza in particolare hanno insegnato anche dell’altro. Negli ultimi due anni gli studenti, si sa, sono stati purtroppo privati della dimensione più umana della scuola. L’emergenza sanitaria ha tolto loro la possibilità di vivere in spensieratezza le relazioni, le amicizie e i rapporti interpersonali. La speranza oggi è quella di non aver vissuto invano queste difficoltà. La scuola non è solo un luogo di apprendimento e un’agenzia educativa, ma anche e soprattutto un contesto di socialità. Gli ultimi due anni ci hanno fatto riscoprire il valore della scuola sotto questo profilo. Per il domani abbiamo il dovere di ricordarlo e farne tesoro per coltivare in futuro nuove relazioni e rammentare sempre “la bellezza dello stare insieme”. 

Di Valentina Mazzella

 

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