Home Cronaca Otto mesi di reclusione richiesti per lo scrittore napoletano Erri De Luca

Otto mesi di reclusione richiesti per lo scrittore napoletano Erri De Luca

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Torino – Otto mesi di reclusione sono stata la pena richiesta dalla procura di Torino per Erri De Luca nel processo del 21 settembre. Dell’accusa che lo ha trascinato in tribunale, istigazione a delinquere, se n’è parlato a lungo nei mesi scorsi a causa del polverone mediatico e intellettuale che la faccenda ha sollevato. Ripercorriamo brevemente la vicenda giuridica dall’inizio rammentando le dichiarazioni incriminanti che due anni fa lo scrittore napoletano ha rilasciato in varie occasioni a proposito del progetto ferroviario Torino-Lione della TAV (Treni ad Alta Velocità) considerato dal movimento No TAV e da De Luca oltremodo nocivo e dannoso per l’ambiente e per di più inutile e dispendioso in termini economici. Il 1° settembre del 2013 Erri afferma che “la Tav va sabotata” in un’intervista dell’Huffington Post (un sito web del gruppo L’Espresso). “Ecco a cosa servono le cesoia, a tagliare le reti” spiega a Lucia Annunziata un paio di giorni dopo a proposito degli arnesi ritrovati nelle auto di due militanti No Tav in Val di Susa il 30 agosto. “Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa”: parole mai rinnegate dallo scrittore che gli sono costate la denuncia da parte della Lyon-Turin Ferroviaire (Ltf), l’azienda francese committente dei lavori preliminari.

E proprio su quel verbo “sabotare” ripetuto più volte si è soffermata l’attenzione del pm Antonio Rinaudo nella lunga udienza di lunedì. In aula è stato consultato il vocabolario online della Treccani prestando fede però solo al primo dei due significati menzionati: «distrug­gere o dete­rio­rare gra­ve­mente edi­fici e impianti». Quando la difesa, gli avvocati Gianluca Vitale e Alessandra Ballerini, ha fatto notare anche l’altra interpretazione, quella figurale omessa, «intral­ciare la rea­liz­za­zione di qual­che cosa, o fare in modo che un dise­gno, un pro­getto altrui non abbia suc­cesso», il pubblico ministero non si è lasciato convincere. Per Rinaudo lo scrittore parlava consapevolmente di sabotaggio nell’accezione violenta e criminosa del termine perché, se così non fosse stato, non ci sarebbe stato bisogno di precisare che le cesoie servissero per tagliare le reti. E addirittura aggiunge: “De Luca non ci venga a dire che non ha sentito parlare di molotov”, sebbene alle bombe l’autore napoletano non abbia mai fatto accenno.

La prossima udienza si terrà il 19 ottobre, ma per il momento per molti l’Italia sta affrontando un esame. A essere processata è la parola (La parola contraria, come il pamphlet in cui l’autore espone le sue prospettive sulla vicenda). Viene colpevolizzato il diritto di libera manifestazione di pensiero. Ci si sdegna di fronte all’accusa di reato di opinione che oltraggia la democrazia. Tuttavia il pm ha ribadito che non c’è diritto di espressione e di pensiero riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione quando il pensiero e l’espressione in questione mettono a loro volta in pericolo un altro diritto costituzionale che è quello della sicurezza pubblica. “Non si tutela chi istiga all’illegalità”: parole dure per chi come Erri si reputa “capace di istigare solo alla lettura o al massimo alla scrittura”. “Non sono parole pronunciate da uno qualunque. Quando il signor De Luca parla, le sue parole hanno un peso determinante” sottolinea Rinaudo. La difesa domanda allora con toni provocatori chi di preciso l’imputato abbia istigato: dopo le dichiarazioni dello scrittore non si sarebbero verificati episodi di sovversione diversi da quanti non ce ne fossero stati già prima del fatidico 1° settembre 2013.

Intanto anche fuori l’aula la situazione sembra esser mutata. A maggio sul web proliferavano le petizioni, gli hashtag #iostoconerri e i cartelli JE SUIS ERRI’ (sulla scia di Je suis Charlie) per chiedere a Ltf di ritirare la querela, mentre dopo la pausa estiva “Assordante il silenzio degli scrittori”, tanto per citare Roberto Saviano. Nonostante la solidarietà manifestata da Grillo, De Magistris e Cecilia Strada sui social, nell’ombra sembrano restarsene acquattati non solo gli intellettuali, ma anche gli stessi No TAV che annunciano solo la ripresa del processo sui siti. Poi il 22 settembre sull’Huffington Post ecco arrivare l’articolo pseudo-confessione di Laura Eduati, “Ho intervistato Erri De Luca, mi dichiaro colpevole”, in cui la giornalista ripercorre il pomeriggio del 1° settembre 2013 in cui ha intervistato lo scrittore napoletano per telefono. Se la frase “La TAV va sabotata” fosse rimasta in una conversazione privata, spiega, oggi non si parlerebbe di reato e di condanna. L’Eduati dunque “si dichiara colpevole” di aver agito da “megafono di quell’istigazione a delinquere” per cui Erri è sotto processo perché “De Luca non avrebbe potuto compiere quel reato senza l’attiva partecipazione di una giornalista e di un giornale”. Scrive inoltre di non comprendere “come la Procura di Torino non abbia deciso di inserire nell’elenco degli indagati anche lei , il suo telefono, il suo computer e le persone della redazione di turno quella domenica”. Apprezzabile il tentativo della giornalista di lanciare uno spunto di riflessione, ma chissà se entro un mese sarà servito o meno a far cambiare idea all’accusa.

Sulla sentenza Erri invece esprime stupore per la pena, valutata da lui tutto sommato esigua rispetto agli argomenti prodotti dall’accusa e poi dichiara: “Non sono un martire, non sono vittima, non uno cui è caduta una tegola in testa passeggiando, sono solo testimone di una volontà di censura della parola”.

Di Valentina Mazzella

 

 

 

 

 

 

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