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RAMMARICO, OMERTA’ E MARTIRIO La zona Est di Napoli tra sporcizia e degrado

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NAPOLI – Tutti i napoletani, almeno una sola volta, sono passati per le strade viciniori a via Emanuele Gianturco. Zona industriale, almeno una volta, diventata piaga della città. Disabitata, deserta di notte, tam tam di auto di giorno. Di napoletani non se ne vede l’ombra, il mercato cinese ha invaso la zona con uno dei poli più grandi della Campania, una vera e propria città-mercato alla quale vanno ad attingere anche numerosi commercianti italiani. Si sa, la gente vuole spendere poco e i cinesi offrono tanto a buon prezzo: della qualità pazienza. E oltre alla invisibilità del commercio italiano, il degrado è l’altra fondamentale componente. Strade abbandonate, buche ovunque e continui i problemi alla sicurezza. Tanti i capannoni abbandonati e inesistenti i piani per permettere nuovi investimenti imprenditoriali nella zona. Uno spazio che grida una riconversione commerciale ed industriale che non arriva. Della prostituzione meglio non parlarne: è possibile trovarla ad ogni ora, del giorno e della notte. Come può un imprenditore, in questo generale marasma, decidere di investire? Soprattutto quando alle imprese non viene consentito un risparmio magari costituendo una zona franca? Lungomare liberato, ztl e pista ciclabile non sono le uniche priorità cittadine. E nello scenario aberrante in cui la zona versa, si colloca la dura realtà dei Rom. Diversi i grandi accampamenti che popolano la zona. Bambini e donne che scavano tra i rifiuti in cerca di indumenti e rottami da poter rivendere per pochi spiccioli al vicino mercato. Paurose le condizioni igienico-sanitarie in cui sono costrette a vivere centinaia di persone. Zona, quella di Gianturco, quasi costretta a trasformarsi in uno dei campi Rom più grandi d’Europa. Le ripercussioni, in questa terra di nessuno, sono anche per il trasporto: molti hanno il timore di prendere la vesuviana e la vicina stazione della metro. Rammarico per una zona che vive nell’abbandono e nel silenzio, costretta a vivere un letterale martirio.  Cambiare è l’unica parola. Ed è possibile farlo.

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