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“SORRY FOR BRUSSELS” e la routine degli attentati: avrete il nostro sangue, ma non la nostra paura

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BRUXELLES – Appena pochi giorni fa avevamo tutti tirato un sospiro di sollievo nell’apprendere la notizia dell’arresto di Salah Abdeslam, principale ricercato fra gli attentatori del 13 novembre a Parigi, avvenuto nel comune belga di Molenbeek. Sembrava che potessimo di nuovo credere un po’ nella giustizia e che con la sicurezza antiterrorismo avessimo fatto un passo da giganti.

Poi ieri mattina, martedì 22 marzo 2016, tutti i sentimenti di fiducia e di ottimismo sono andati in frantumi quando ci è precipitato addosso l’allarme di un nuovo attentato in Europa. Due esplosioni a Bruxelles rivendicate dall’Isis: una presso l’aeroporto Zaventem per mezzo di kamikaze e l’altra nella stazione Maelbeek della metro dove sono stati trovati un kalashnikov e un ordigno inesploso. Le vittime sono diventate numeri: complessivamente 31 morti e 250 feriti, a molti dei quali nei 25 ospedali della capitale c’è stato bisogno di procedere con delle amputazioni a causa di schegge metalliche e vitree fra le carni. I terroristi hanno infatti replicato un sistema di morte che fu già adottato in occasione dell’attentato del 2013 alla maratona di Boston, in America: chiodi di ferro e biglie di vetro nelle pentole contenenti gli ordigni esplosivi. Fra i feriti anche tre Italiani: Chiara Burla (di 24 anni), Michele Venetico (21 anni) e Marco Semenzato (34 anni).

ImmagineOggi ancora aperta la caccia all’uomo. Gli inquirenti starebbero conducendo le indagini a partire da un fermo-immagine ricavato da alcune riprese effettuate da una videocamera di sorveglianza dell’aeroporto prima che l’esplosione avesse luogo. Fotogrammi che mostrano gli attentatori spingere il carrello con i propri bagagli con un guanto nero a una mano per nascondere i detonatori: i fratelli Khalid e Brahim El Bakraoui e Najim Laachraoui, considerato l’artificiere di Parigi e che stamattina l’Intelligence credeva erroneamente di aver arrestato.

Intanto fra la gente comune che assiste inerme a questi fatti paura, lacrime e solidarietà nei confronti delle famiglie coinvolte, ma anche cinismo e polemiche. Dilaga la consapevolezza che purtroppo tutti i nostri provvedimenti di sicurezza possano non bastare contro degli avversari che non si curano neanche della propria vita. Allo stesso tempo si cerca la forza per andare avanti comprendendo che non possiamo chiuderci in casa e cambiare le nostre abitudini.

bruxelles-aeroporto-esplosioni-255x154Hanno colpito Bruxelles non a caso, ma perché vi risiede il Parlamento Europeo: simbolo per eccellenza della democrazia della società nostrana. Ma che ne sanno loro della nostra democrazia europea? Della nostra democrazia che affonda le sue plurimillenarie radici nell’antica civiltà greca, per cui abbiamo lottato con i forconi nella Rivoluzione Francese e per cui abbiamo sacrificato sangue e vite umane di ogni nostro Paese nelle guerre di Risorgimento? Che ne sanno loro di Voltaire e della sua frase: Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”? Che ne sanno loro dell’ardore con cui ci siamo aggrappati alla speranza di migliorarci e abbiamo difeso nei secoli i valori di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza?

Più attentati si susseguono e più le immagini di stragi e morte ci assuefanno. A più attentati assistiamo anche in Europa e più ogni attacco diventa l’ennesimo attentato nella triste e monotona routine degli attentati che spegne la nostra empatia da esseri umani fin quando il terrorismo non tocca personalmente noi o i nostri cari. E allora dobbiamo stare attenti anche al nostro cinismo, alla nostra indifferenza. Trovare la fermezza di andare avanti con coraggio e soprattutto umanità.

1626649_simbSiamo l’Europa, siamo l’Occidente. Dovevamo esportare nel mondo un modello di sviluppo e progresso, invece abbiamo rubato ai più poveri. Dovevamo aprire in terre lontane scuole e ospedali, ma spediremo probabilmente gli ennesimi caccia e bombardamenti. L’unica cosa che siamo riusciti a globalizzare è stato l’odio verso noi occidentali. Allora dobbiamo prima diventare lucidi e obiettivi. Le guerre sono dirette dagli altri vertici politici, ma i morti sono i nostri. Europei e Libici.

Bando anche alle accuse di moralismi e buonismi inutili di chi crede che basterebbe chiudere le frontiere per tenere fuori i jihadisti, dimenticando di come molti terroristi siano in realtà cittadini europei che non si riconoscono nelle bandiere delle Nazioni in cui vivono. Contro la paura e i pregiudizi si scaglia l’immagine dello sguardo basso di un piccolo profugo del campo per rifugiati di Indomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, che solleva in alto un cartellone con la scritta “Sorry for Brussels”. Un ragazzino in fuga dalla guerra che si scusa a nome anche delle 13mila persone stipate lì da settimane per aver cercato di attraversare il confine e dirigersi verso il Nord Europa. Una persona che avverte doveroso non solo esprimere solidarietà per i morti di Bruxelles, ma anche farsi quasi portavoce di tutti i migranti che attraversano il mare e si dissociano da quei carnefici di cui in fondo anche loro sono vittime. Davanti a questa foto la domanda sorge spontanea: ma chi chiede scusa a loro? E allora lottiamo contro il terrorismo, sì, ma anche contro l’insensibilità e l’impassibilità perché c’è bisogno che lo sappiano i terroristi che possono uccidere i nostri corpi, ma non la nostra democrazia e la nostra umanità.

Valentina Mazzella

 

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