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“Confidenza”, con Elio Germano: il film di Daniele Luchetti tra inquietudine, vertigini e ambiguità

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RECENSIONE — “Confidenza” non è un film che desidera dare soddisfazione al pubblico. La sua storia scuote, scombussola gli spettatori. Al termine della visione si avverte una strana inquietudine sottopelle. Ed è esattamente in quella sensazione che si rivela lampante l’eccezionale maestria di Daniele Luchetti che ha co-scritto e diretto la pellicola. “Confidenza” è un prezioso esempio di cinema italiano di qualità. Non è semplice realizzare film di questo tenore senza talento. Non esistono ingenti budget d’oltreoceano che tengano.

Può esistere un segreto così terribile che, se rivelato, ha la capacità di non farti più amare da nessuno? Può un segreto essere così oscuro da rovinarti la vita? Il quesito attraversa il lungometraggio basato sull’omonimo romanzo del 2019 di Domenico Starnone. Nel ruolo del protagonista Pietro Vella abbiamo uno straordinario Elio Germano la cui presenza in un film, già di norma, è sinonimo di garanzia. Con lui nel cast Federica Rosellini, Vittoria Puccini e Pilar Fogliati. Tutte accumunate da una performance recitativa superba. Le musiche di Thom Yorke costituiscono un sublime valore aggiunto.

“Confidenza” è un thriller drammatico e psicologico. Un urlo senza voce. Costruito su vertigini e ambiguità, il film invita a riflettere non tanto sui segreti come in apparenza può sembrare. Esplora l’animo umano, sonda le coscienze. Analizza le relazioni tra le persone, in particolare le relazioni d’amore. È possibile trascorrere una vita intera accanto a qualcuno senza conoscersi in maniera autentica. Chi ci conosce per davvero? Cos’è l’intimità? Si crea maggiore legame nel confidare un segreto inconfessabile piuttosto che nel condividere un letto. Anche per anni. Il tempo non conta.

Profondamente disturbante, “Confidenza” trasmette un forte carico di irriquietezza. Lo fa attraverso inquadrature dall’alto, prospettive da capogiro e un montaggio raffinato che alterna la realtà e alle alternative possibili. Nessuna immagine è lasciata al caso. Tra le pieghe del film sono nascosti dei sofisticati simbolismi. Emblematici i limoni, ora ammuffiti e ora pronti a rotolare dal nulla lungo una rampa di scale. Frutto aspro che dà sapore. Non tutto è spiegato. Gli stessi autori desiderano non sollevare alcun velo. Non indicare alcuna morale al pubblico. Molti elementi appaiono come presagi funesti. Accrescono l’ansia che permea il film. Non solo la muffa dei già citati limoni. Una muffa che rappresenta il marcio che l’interiorità di ciascuno può nascondere. Ma anche corvi o banalmente del sangue dal naso nel momento meno opportuno.

“Confidenza” ragiona sui concetti di amore e paura, amore e sopraffazione. Evoca l’antica dicotomia di Eros e Thanatos. Nei dialoghi ogni parola ha il suo peso. Nessuna frase è casuale. Il copione è costruito su un ritmo incalzante. Anche le pause sono attraenti. La trama parla di bugie e verità, di maschere indossate. Maschere pirandelliane. I personaggi alle volte diventano astratti, dei prototipi. Anche dietro il volto di un professore perbene come Pietro Vella può celarsi un maschio narcisista che ha commesso un qualcosa di indicibile. Non ci è dato sapere cosa perché non è importante, come ne “Il processo” di Kafka. In quest’ottica siamo di fronte a un film, appunto, profondamente kafkiano. La narrazione è impregnata di perplessità, suggestioni e interpretazioni lasciate in sospeso.

“Confidenza” è un’opera complessa, intellettuale. Ricca di influenze letterarie e culturali. Il protagonista può essere considerato anche un nuovo Raskòl’nikov di “Delitto e castigo” di Dostoevskij per il modo in cui è febbrilmente tormentato dal suo segreto. Da dei sinceri sensi di colpa o dal timore di rovinarsi la vita? Dagli scrupoli o dalla preoccupazione di perdere tutto? Negli intrighi vi è un richiamo, voluto o meno, a Gabriel García Márquez e alla sua idea secondo cui “ognuno di noi ha una vita pubblica, una privata e una segreta”. Non manca uno stato d’animo di ossessione e paranoia tipiche della prosa overthinker di David Foster Wallace.

Il segreto può essere svelato da un momento all’altro. Tutto può crollare, precipitare. Come sotto la potenza impetuosa di una valanga. Cosa accadrà o cosa accadrebbe? L’angoscia lievita di pari passo con il ripetitivo e opprimente istinto suicida di Pietro Vella. La menzogna regala un senso di estenuante nausea. Non esiste una chiave di lettura univoca, ma è tuttavia sicuro un fatto: nessuno può scappare da se stesso. La vita ce lo insegna. L’esperienza lo dimostra. Possiamo soltanto limitarci a nasconderci, ma il passato continuerà senza sosta a perseguitarci.

Di Valentina Mazzella

 

 

 

 

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