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Intervista al professor Bruno Pezzella, autore del giallo “Nik Stupore…e i tre nodi del marinaio” edito da Regiosi

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NAPOLI – Ieri alle ore 18, presso la Libreria Locisto al Vomero, il professor Bruno Pezzella ha presentato il suo romanzo, “Nik Stupore…e i tre nodi del marinaio”. Il libro, edito da Regiosi, è un giallo che concentra le sue vicende attorno ad un giovane programmatore di videogiochi, catapultato in una serie di enigmatici delitti.

Noi di “Napolisera.it”, per saperne di più, abbiamo avvicinato lo scrittore che, molto cordialmente, ci ha concesso un’intervista.

«Caro Bruno, oggi presenti il tuo romanzo: lo definiresti come “lettura di svago”, oppure il messaggio che vuoi lasciare ai tuoi lettori va al di là della superficie?»

«Non lo definisco. Non amo i generi. La scrittura è scrittura. Certamente alcuni noir non sono letture di svago, e poi bisognerebbe intendersi su cosa significhi svago. Simenon, Vasquez Montalban, Antonio Tabucchi, Stephen King sono prima di tutto grandissimi scrittori. E poi il genere … “Il nome della rosa” di Eco è un grande romanzo con un plot da thriller.»

«Solitamente, il giallo è additato dalla critica in quanto genere di distrazione: la tua opera “rispetta la tinta”, o è variopinta?»

«Qui è necessario fare una premessa: se dico che Nik Stupore è un romanzo come lo definisci tu di “distrazione” – ma a questa domanda già credo di aver risposto – faccio una specie di outing, se invece, come credo di aver fatto scrivendo questo noir, dichiaro che ho scelto una strada più complessa ed ho cercato di cercare una diversa cifra sia riguardo alla trama che al contenuto, qualcuno può pensare che sia un presuntuoso, o peggio un idiota. La verità e che il vero discrimine non esiste e che i bravi scrittori, sono quelli che “sanno” scrivere.»

«In Italia, molti sono i giallisti degni di tal nome: nella stesura del tuo libro hai avuto particolari modelli d’ispirazione?»

«In un articolo su Repubblica il critico Antonio Filippetti, addirittura dice che mi rifaccio a grandi scrittori americani. In verità i miei riferimenti sono piuttosto gli europei che ho già citato, ad eccezione di King, americano, che reputo uno dei più grandi scrittori viventi in assoluto. Sono interessanti anche i sudamericani, Sepulveda per esempio. Di recente mi è molto piaciuto Tony Bellotto. Non dimentichiamo poi che il giallo napoletano ha una precisa identità e che non siamo tutti gigli di De Giovanni. Se devo scegliere un riferimento questo è Attilio Veraldi che viene considerato il caposcuola del genere napoletano. Veraldi morto nel 1999, era un intellettuale raffinatissimo, un traduttore come non ne esistono più e uno sperimentatore. In “Scicco”, un romanzo breve, ce non si trova facilmente nelle librerie, ha tentato, molto prima di Camilleri con il siciliano, l’esperimento di scrivere in un napoletano italianizzato.»

«Il taglio cinematografico che dai alla storia è tagliente, credi che dal tuo lavoro si possa ricavare, magari in futuro, una pellicola?»

«Il testo è adatto al cinema, un cinema dove ci sia spazio anche per gli effetti dei videogiochi, perche Nik è un creativo, uno sviluppatore – questo è il termine tecnico – di videogame. Anzi, tutto il romanzo è concepito come un videogioco, o almeno ha questa atmosfera. Ma io sono uno che se ne sta sulle sue, non vado in giro a proporre le mie cose. Tra l’altro, vengo dalla scrittura che, per usare una classificazione generica, e fatte le premesse di cui ho già detto, definirò “seria”. Ho scritto testi di didattica, e il mio penultimo libro è un saggio sul sapere edito da Cuzzolin, nel 2011.»

«Attorno a Nik, il protagonista della storia, ruotano molte delle tematiche del mondo giovanile attuale; la scelta della sua professione è stata casuale?»

«Sono un giovane del ’68: quel periodo storico ha per molti di noi lo stesso significato delle stimmate. Ce lo abbiamo dentro con tutte le complessità le contraddizioni e le bellezze sublimi che pure ha avuto. Molti di noi sono rimasti sessantottini, pensano di essere liberi o di poter essere liberi. In realtà abbiamo consegnato ai nostri figli una libertà finta, piena di insulti alla persona. Nella mia vita ho fatto molti lavori. Ma so fare bene, forse, solo due cose: scrivere ed insegnare. I giovani di oggi sono più semplici, si accontentano dell’esteriorità con la quale compensano il grande vuoto che hanno dentro, ma una parte di responsabilità ce l’abbiamo noi che ci siamo illusi di poter essere liberi.  Ho lavorato sempre con i giovani, ed ero io stesso ero molto giovane quando ho incominciato. I giovani sono la parte migliore di ogni società.»

«È così elevata, secondo lei, l’influenza dei videogiochi sulla società ai giorni nostri? Per i giovani d’oggi, c’è una via di uscita dal mondo elettronico?»

«L’influenza dei videogiochi è negativa perché isola dalla realtà e in qualche modo finisce per influenzarla, ma bisogna ammettere pure che tutta l’informatica è altamente creativa. Sempre la modernità si porta appresso la paura per l’ignoto, il timore per i riflessi negativi che essa può generare e di fatto pure genera. E’ come quando si è pensato che il motore a scoppio e l’automobile potessero creare incidenti stradali, o oggi pensare che il telefonino faccia male alla salute, senza considerare gli enormi benefici che queste invenzioni hanno portato e portano alla civiltà. E’ illuminante in proposito il saggio di Gianfranco Pecchinenda dal titolo emblematico sull’ “Homo game”. Non vorrei però che il mio libro fosse visto in negativo. In realtà è la storia di un artista moderno, che inventa videogiochi, è un discorso sull’artista. Intorno ci sono la cose della società contemporanea, la nostra realtà.»

«L’ultima domanda, la più fastidiosa, mio malgrado, devo fargliela: progetti per il futuro?»

«C’è una figura retorica che odio cordialmente ed è: “un libro nel cassetto”. A parte che ormai i libri stanno nella memoria di un computer o in una pen drive, tutti quelli che scrivono hanno cose che stanno lì ad aspettare. Per la cronaca: ho un saggio finito sui sentimenti, tre nuovi noir, e un libro di racconti. Non è facile, bisogna vedere si gli editori si decideranno ad aver coraggio e ridurranno di molto la pubblicazione di schifezze, e se la gente ricomincerà a leggere sul serio, o almeno a leggere i libri anche nelle forme digitali. Dice Jaques Derrida che viviamo in un universo scritto, che in fondo si scrive e si legge di più. Un universo dove si scrive male e si legge peggio.»

 di Paolo Leardi

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