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Teatro Mercadante, “Pa’”: l’omaggio a Pier Paolo Pasolini di Luigi Lo Cascio 

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RECENSIONE – Molto solenne, a tratti pretenzioso. Eppure poetico e veritiero. Lo spettacolo “Pa’” è in scena al Teatro Mercadante di Napoli dallo scorso 14 febbraio fino a domenica 25. L’opera è un caloroso omaggio per celebrare il centenario di Pier Paolo Pasolini. La regia è curata da Marco Tullio Giordana che, con Luigi Lo Cascio, ha lavorato anche alla drammaturgia. I testi letti, invece, sono quelli autentici di Pasolini: poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo. Innegabilmente tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento. 

Affiancato da Sebastien Halnaut, sul palco l’interpretazione di Luigi Lo Cascio è immensa. I monologhi sono recitati con partecipazione intensa. Visivamente si ha l’impressione di osservare sul palcoscenico il vero Pasolini. Complici un’ottima gestualità dell’attore e la scelta meticolosa dei costumi. Le scenografie sono semplici, ma puntuali. Sempre pertinenti alla narrazione e allineate al messaggio ideologico dell’autore e della scena.

Il titolo “Pa’” è volutamente un vocativo che allude in parte a una canzone di Francesco De Gregori, ma soprattutto al nome abbreviato con cui i ragazzi di borgata erano soliti chiamare l’intellettuale per invitarlo a giocare a pallone con loro. E, sotto questo profilo, lo spettacolo è brutalmente onesto: non omette le controversie a proposito, ad esempio, dei processi in cui il poeta fu accusato di corruzione di minori e oscenità.

“Pa’” delinea un ritratto attento della figura di Pasolini. Ne ripercorre la biografia fino all’incidente fatale. Ne esalta la genialità creativa, ne rammenta la malinconia. Ne racconta luci e ombre. In particolare ne commemora la poesia. Una poesia spesso visionaria e profetica. L’interrogativo che scuote il pubblico invita a chiedersi quanto rimarrà di Pasolini con il passar del tempo, se verrà considerato sempre vivo e attuale. Perché, in fondo, come lui stesso scrisse: “La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. 

Di Valentina Mazzella

 

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