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“Freaks Out” di Gabriele Mainetti: un eccezionale esempio di cinecomic italiano, disponibile anche su RaiPlay

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RECENSIONE — Eccezionalmente fresco. Due parole per descrivere il film “Freaks Out” (2021) di Gabriele Mainetti, trasmesso ieri sera per la prima volta in TV su Rai2. Oggi disponibile anche su RaiPlay. Un prodotto creativo e soprattutto innovativo per il panorama del cinema italiano, come del resto lo era già stato il primo film dello stesso regista, “Lo chiamavano Jeeg Robot” (2015). “Freaks out” ha avuto la sfortuna di essere distribuito nelle sale, per quanto possibile, nel periodo della pandemia, quando le restrizioni avevano messo a dura prova i cinema. Nonostante ciò, la pellicola è riuscita ugualmente a decollare e a riscuotere un feedback positivo. Non solo tra il pubblico, ma anche nei festival europei con molteplici nomine e diversi riconoscimenti. Ben 16 le candidature ai David di Donatello.

“Freanks Out” si inserisce perfettamente nella grande tradizione del fantasy e, nello specifico, dei cinecomics. Il film ha il profilo dallo sguardo internazionale che può degnamente competere anche con i film statunitensi. Senza riserve, sebbene l’abissale disponibilità di budget. Eppure il risultato non rinuncia alla sua identità indiscutibilmente italiana. Una caratteristica che aveva contraddistinto anche la prima opera di Mainetti. Roma è, ad esempio, presente nei dialoghi in romanesco e nelle incantevoli scenografie. Mozzafiato visivamente le scene nei Fori imperiali. Dal punto di vista estetico tutta la fotografia di “Freaks Out” è una vera gioia per gli occhi. I colori nitidi delle immagini e i costumi di scena eccentrici e riconoscibili regalano un esito di sublime suggestione. La scelta delle inquadrature, l’attenzione nel montaggio e gli effetti speciali credibili rivelano una straordinaria cura sul piano tecnico. I cambi di sequenza non sono mai banali.

Il cast è composto da attori che offrono una performance di notevole talento: Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto e Giancarlo Martini. Il soggetto è di Nicola Guaglianone che, con Gabriele Mainetti, ne ha scritto anche la sceneggiatura. La trama racconta la storia di un piccolo circo errante. I suoi circensi sono letteralmente dei fenomeni da baraccone, per l’appunto dei “freaks”. Le vicende sono ambientate a Roma nel 1943, in pieno regime nazi-fascista durante la Seconda Guerra Mondiale. Israel (Giorgio Tirabassi) è un ebreo che ha messo insieme la compagnia artistica composta da Matilde (una ragazza che produce scariche elettriche), Cencio (un giovane albino capace di controllare gli insetti), Fulvio (un “uomo bestia” del tutto ricoperto da peli e dotato di forza sovrumana) e infine Mario (un nano con un leggero ritardo mentale che controlla gli oggetti metallici).

I quattro freaks sono i veri protagonisti di una narrazione dal ritmo coinvolgente e imprevedibile. Lo stile del film conserva, per tutta la sua durata, un carattere fumettistico. Non solo dal punto di vista estetico, ma anche nelle scelte e negli espedienti espositivi. I personaggi omaggiano, con tanto di citazione, i “Fantastici Quattro” in una nuova versione 2.0. Affrontano sfide e ostacoli con audacia, vivono le disavventure con coraggio. Il cuore del film non è raggiungere l’obiettivo, raccontare un lieto fine. Piuttosto lanciare un messaggio: celebrare l’unicità e l’essenza speciale di ogni individuo. “Freaks Out” è un superbo inno alla diversità e alla ricchezza che ne deriva. Tratta tematiche dedicate, senza privarsi della possibilità di strappare una risata attraverso una battuta sagace o una scena goliardica. In linea con l’umorismo di Gabriele Mainetti, la cui regia si è inoltre ispirata anche all’eccentricità di grandi maestri.

In “Freaks Out” ritroviamo un po’ dell’inquietudine dei toni da fiaba dark di Tim Burton e in parte la passione per la comicità cruda e splatter di Quentin Tarantino. I personaggi hanno tutti uno scheletro psicologico ben costruito. Nel corso del cosiddetto “viaggio dell’eroe” sperimentano delle occasioni di crescita che permetteranno loro di maturare. Anche il villain Franz (Franz Rogowski) è dotato di una sua complessità che non lo rende un’antagonista piatto. È animato da contrastanti sentimenti di odio, risentimento, ossessione, desiderio di sentirsi accettato e avversione per se stesso proiettata sugli altri. Lo scenario del circo accostato ai simboli del nazismo sembra calzare a pennello per rappresentare allo stesso tempo il senso del ridicolo (votato a sminuire la solennità dell’ideologia) e il volto horror di una realtà politica spregevole.

A quanto pare solo il pubblico d’oltreoceano non ha apprezzato “Freaks Out”. Negli USA, infatti, non hanno saputo cogliere la vera natura del film, fossilizzandosi su una lettura eccessivamente rigida. Gli americani hanno accolto il capolavoro di Mainetti non tanto come un cinecomic che celebra la lotta contro ogni forma di discriminazione e il trionfo del Bene sul Male. Di grande forza il valore simbolico di molte scene in cui il futuro e la pace spazzano via l’atrocità della malvagità. Il sottotesto è dichiaratamente lampante: la guerra non ci renderà peggiori, non ci renderà come loro.

Le giurie americane hanno, invece, valutato “One Freaks” sulla base delle loro aspettative disattese. Non hanno accettato che la Seconda Guerra Mondiale fosse soltanto un contesto storico di sfondo. Desideravano una maggiore centralità drammatica per il tema dell’Olocausto. Delusi dall’assenza dei tradizionali cliché dei film sulla Shoah, non hanno  stimato il film in quanto cinecomic. Tuttavia, sinceramente, tale fraintendimento poco conta: “Freaks Out” di Gabriele Mainetti resta un titolo di pregio da non perdere e recuperare quanto prima.

Di Valentina Mainetti

 

 

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