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HAI DETTO PIZZA FRITTA?

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E anche questa – come tutte quelle che mi piace raccontare – è una storia d’amore. Una di quelle che parte da lontano. Da una Napoli in bianco e nero, che ricorda quella de “L’oro di Napoli”, quando con una pizza fritta si campava tutta la giornata. Una storia che comincia da una friggitrice fuori a un basso napoletano in un quartiere operaio durante il dopoguerra e da una donna – come ogni inizio che si rispetti, lasciatemelo dire – e dalla sua arte di improvvisare – perché è di questo che alla fine si tratta – .

È così che un’ambasciatrice d’amore – da qui il il nome “A’ Masardona” – divenne ambasciatrice del gusto.

Oggi, al timone di questo pezzo di storia dello street food napoletano, ma a due civici diversi – uno in via Giulio Cesare Capaccio che profuma di storia e l’altro in piazza Vittoria che profuma di mare – ci sono Enzo – degno nipote de la Masardona –  e i suoi figli Salvatore e Cristiano, che in quest’epoca di nouvelle cousine in cui la normalità è troppo spesso sottovalutata, continuano a credere nel veicolo della semplicità, nella forza della tradizione e nel virtuosismo dell’impasto steso a mano. Continuano a credere nel potere delle passioni. Perché in questi tempi così confusi, disorientati e vacui, tenersele strette è la vera rarità.

E comunque, detto tra noi, oltre alle pizze fritte con provola, cicoli e ricotta a iosa, oltre ai battilocchi che non smettono di farsi mangiare, oltre alle frittatine di pasta che come le loro nessuna mai, per me “La Masardona” sono tutti i pranzi della Vigilia di Natale con gli amici di sempre – perché al  sud le tradizioni sono una cosa seria – e  tutte le serate in famiglia a ricordare la tenacia delle abitudini, che non sempre sono brutte. A volte sono semplicemente casa.

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