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Pomigliano, Centro Giorgio La Pira: Don Milani e i richiami del ’68

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Centro Giorgio La Pira, Maria Felicia Liberti e Romilda Antignani (Foto di Valentina Mazzella)

POMIGLIANO D’ARCO – In un’epoca in cui il patto educativo tra scuola e famiglia continua a essere un’esigenza urgente, il Centro Giorgio La Pira di Pomigliano d’Arco (NA) sceglie di valorizzare ancora l’eredità di Don Lorenzo Milani. Nel pomeriggio di ieri si è tenuto infatti un incontro sull’argomento presso la sua sede in via Terracciano, 240. Titolo dell’evento, iniziato alle ore 18:00, era “Don Milani e i richiami del ’68”. Al dibattito, a cura di Maria Felicia Liberti, ha partecipato la docente Romilda Antignani. A seguire, alle 19:30, gli ospiti hanno avuto l’opportunità di assistere al concerto presentato da Massimo Piccolo a cura dell’associazione Luna di Seta. Si sono esibiti Antonio Puzone, Alfonso Valletta e Simona Amazio con un trio di fiati (clarinetto, fagotto e corno francese).

Il progetto ha ripercorso i punti cardine della pedagogia di Don Milani e gli eventi protagonisti dell’epoca in cui visse. Immancabile il sempreverde racconto dell’esperienza educativa della scuola di Barbiana presso un piccolo villaggio tra le montagne toscane negli anni Cinquanta. La missione educativa portata avanti da un sacerdote che riteneva che la funzione principale dei preti non fosse quella di celebrare semplicemente la messa. La storia di un uomo che, in linea con il Vangelo, cercava l’incontro con il prossimo seguendo la scia dell’Educazione del cuore di Pestalozzi.

Don Lorenzo Milani, foto storica.

Quando si parla di Don Milani, non si approfondisce unicamente un’importante pagina di pedagogia. Si racconta anche uno spaccato di società e di storia dell’Italia di quegli anni. Sfogliando le pagine del suo libro “Lettera a una professoressa” (1967), emerge l’attenzione per le disuguaglianze delle opportunità educative. Personaggi emblematici come Gianni e Pierino che incontriamo nel testo reclamano una scuola chiamata a interpretare i valori educativi e pedagogici della società, un’educazione capace di contrastare le disuguaglianze e promuovere l’inclusione sociale.

La domanda che Lorenzo Milani si poneva già più di cinquant’anni fa ed è ancora oggi attuale: perché spesso la scuola non ce la fa? Non riesce a potenziare i talenti di tutti gli studenti? Il sacerdote sostenava perché di base nelle aule si insegnano “cose che non interessano”. Riteneva che ai figli dei contadini bisognasse insegnare ciò che serve per condurre la vita quotidiana. Denunciava la scuola pubblica e il suo sistema nel desiderio di preservare le classi più umili dal consumismo e dalla corruzione della borghesia. Descriveva la scuola pubblica come un’istituzione che non investe energie e risorse nel concreto recupero dei ragazzi in difficoltà. Si limita soltanto a valorizzare gli studenti figli di una condizione familiare favorevole già in partenza. L’opera fu a suo tempo recensita con note positive da Pier Paolo Pasolini.

Centro Giorgio La Pira, Maria Felicia Liberti e Romilda Antignani (Foto di Valentina Mazzella).

Vien da sé che inevitabilmente un dialogo su Don Milani si estenda a una panoramica più ampia. Da prete anticomunista, il suo pensiero educativo è stato progressivamente assorbito tuttavia anche dalla Sinistra per un più ampio discorso sulle lotte di classe e la rivoluzione sociale del ’68. Erano anni in cui anche il rapporto tra obbedienza e disubbidienza veniva letto sotto una luce diversa. La visione e i metodi di Don Milani sconcertarono e sollevarono polemiche. La scuola di Barbiana attirò critiche e attacchi sia dal mondo laico che dalla Chiesa, senza che né Papa Giovanni XXIII e né Papa Paolo VI siano mai intervenuti in difesa.

Quello di Don Milani non fu un vero e proprio progetto di riforma. Fu una testimonianza il cui cuore è sintetizzato con il famoso motto “I Care” da cui prende il nome anche la Biblioteca dello stesso Centro Giorgio La Pira. “Mi importa”, “Mi interessa”, “Mi sta a cuore”: parole che desideravano capovolgere lo slogan fascista del “Me ne frego”. L’esperienza di Barbiana non è oggi imitabile. E nemmeno auspicabile nella sua forma più rigida. Non a caso la scuola, aperta nel 1954, chiuse i battenti nel 1967. Tuttavia lascia come eredità un modello educativo improntato sull’accoglienza, dentro e fuori le famiglie. Semina germogli per una pedagogia più attenta nei confronti delle potenzialità di ogni alunno, per una relazione più autentica tra docenti e studenti.

Di Valentina Mazzella

 

 

 

 

 

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